SOVRAPPESO E OBESITA’: QUANDO UNA DIETA STANDARD NON FUNZIONA

SOVRAPPESO E OBESITA’: QUANDO UNA DIETA STANDARD NON FUNZIONA

L’indice di massa corporea (IMC) è un dato biometrico che mette in rapporto l’altezza del soggetto ed il suo peso ed è utilizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità per definire il limite del normopeso: se l’indice di massa corporea è superiore a 30 kg/m² si parla di obesità, se è sito fra i 25 ed i 30 kg/m² di sovrappeso.

Al giorno d’oggi, lo stile di vita che conduciamo nei paesi occidentali è fortemente indirizzato alla sedentarietà e ad una dieta ipercalorica e ricca digrassi. L’attività fisica è spesso limitata ed in molti casi persino assente. La nostra giornata lavorativa, le nostre abitudini, i mezzi di spostamento che utilizziamo, i comfort di cui disponiamo, i pasti veloci e preconfezionati, la nostra routine: tutto è ottimizzato sia in termini di tempo che di risparmio energetico per rendere la nostra giornata la più proficua possibile per la nostra carriera e per le nostre relazioni sociali, ma di certo non per il nostro corpo.

Tutti questi fattori sembrano prospettare un sempre crescente aumento del numero di soggetti obesi o quantomeno fortemente sovrappeso, tutti tranne la genetica che sarà forse in grado di aprire uno spiraglio e spiegare il motivo per cui, in questa società dominata da fast food e lavori da scrivania, esistono numerosi soggetti che sembrano immuni all’aumento di IMC e nonostante il loro stile di vita continuano a restare normo-peso.

Secondo numerosi studi, alcuni soggetti avrebbero un’innata predisposizione ad ingrassare e particolari difficoltà a perdere peso, dovute al loro patrimonio genetico. Studi su gemelli e nuclei familiari hanno dimostrato che una buona parte della predisposizione all’obesità (40-70%) è dovuta ai geni, mentre il restante è legato allo stile di vita.

Sono stati individuati 127 geni che sembrano essere legati a questa condizione: un esempio sono i geni della famiglia ADRB che regolano il consumo energetico dell’organismo, in particolare alla produzione dei recettori adrenergici responsabili del consumo dei lipidi del tessuto adiposo, ovvero di quel che si definisce “bruciare i grassi”. Un’alterazione del gene ADRB2 porta ad un malfunzionamento di una proteina che quindi non sarebbe in grado di bruciare opportunamente il grasso accumulato e di ridurre la massa corporea tramite una normale attività fisica. Sui soggetti portatori di una mutazione di questo gene, un normale apporto calorico ha effetti amplificati e porta quindi a parità di carboidrati ingeriti ad una maggiore predisposizione a prendere peso.

Un altro gene che è stato dimostrato essere strettamente coinvolto è il MTHFR, responsabile della rimetilazione dell’omocisteina e la cui mutazione porta ad una riduzione del 50% nell’attività dell’enzima. Un eccessivo accumulo di omocisteina può portare ad un aumento significativo del rischio di problemi cardiovascolari e ad una riduzione dell’acido folico nell’organismo, con possibilità di complicanze per le donne in gravidanza oltre ad un aumento dell’indice di massa corporea.

Altro indagato è il gene SLC6A4, che in una sua variante potrebbe influenzare il trasportatore della serotonina 5-HTT. La serotonina viene definito l’ormone della felicità ed è il neurotrasmettitore responsabile dell’umore, dei ritmisonno-veglia, della memoria ma anche dell’appetito. È ormai dimostrata la sua correlazione con la depressione oltre che con numerose altre patologie. Uno studio su 1329 uomini sudamericani ha infatti rilevato che i soggetti che presentano questa variante genetica hanno mediamente un IMC più elevato.

Il gene KSR2, studiato in relazione all’obesità infantile, sembra essere uno dei maggiori fautori dell’aumento di massa corporea poiché regolerebbe non solo l’assunzione di calorie, ma anche il senso di sazietà e sarebbe quindi colpevole due volte: rallenta l’assorbimento delle calorie e convince l’organismo di non averne assunte abbastanza provocando un senso di fame perenne in un continuo circolo vizioso.

Vi sono inoltre dei geni che influiscono sulla massa corporea in modo indiretto, ovvero non aumentando la predisposizione a prendere peso o a mangiare, ma favorendo la responsività all’attività fisica, come il FTOrs9939609. Ben 3865 adolescenti di diverse nazionalità sono stati coinvolti in uno studio che ha evidenziato come le varianti di questo gene fossero legate ad un aumento di IMC ma soprattutto come tale predisposizione divenisse insignificante svolgendo dell’attività fisica quotidiana. I portatori della variante genetica hanno mostrato una notevole riduzione dell’IMC, maggiore rispetto ai soggetti non portatori, e sarebbero quindi favoriti a perdere peso svolgendo un minimo di esercizio giornaliero.

Il gene FTO è inoltre responsabile del controllo delle calorie assimilate bilanciandole tramite il senso di sazietà assieme al KSR2, ed agendo quindi anche a livello cerebrale.

Una variante sul gene PPARG2 sembra invece essere correlata ad un maggior recupero di peso dopo una dieta: uno studio ha mostrato nei soggetti portatori un’elevata tendenza al rapido aumento di massa corporea successivamente ad un periodo di regime alimentare ipocalorico

E questi sono solo una minima parte dei 127 geni che si sospettano essere coinvolti nelle numerose variabili che determinano la predisposizione all’obesità, ma speriamo che questo piccolo scorcio sui fattori che vi influiscono abbia reso più chiaro il motivo per cui una dieta unica non va bene per tutti.

Ogni soggetto risponde in modo diverso ad una data tipologia di alimentazione ed all’attività fisica ed ha una diversa tendenza a perdere e recuperare peso. Per ottimizzare la perdita di peso è utile comprendere quali siano le strategie più efficaci per dimagrire e mantenere il nuovo peso forma anche in relazione a ciò che è scritto nei propri geni.

Se è facilmente possibile modificare il regime alimentare di una persona o indirizzarlo verso un adeguato stile di vita, non è possibile cambiare il nostro DNA ed è quindi utile partire da quello per assistere al meglio chi vuole migliorare la propria forma fisica ed il proprio stato di salute.


L’obesità è ad oggi la prima causa al mondo di morte prevedibile, ovvero che potrebbe essere scongiurata tramite una dieta mirata e dell’esercizio fisico. Si stima che riduca la prospettiva di vita dai 2 ai 10 anni a seconda della gravità della patologia e sono innumerevoli le complicanze ad essa correlata: dal diabete ai disturbi cardiovascolari, dall’infertilità, all’ictus, all’aumento del rischio di sviluppare tumori, artrite, asma, depressione, e talmente tante patologie direttamente o indirettamente connesse che elencarle tutte in questa sede sarebbe impossibile.

Per questo il problema va affrontato nel modo più mirato e personalizzato possibile: per ottenere i migliori risultati col minore sforzo. E negli ultimi anni la genetica ha compiuto passi da gigante in questa direzione.



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