L’INDICE GLICEMICO ED I FATTORI GENETICI NEL DIABETE

All’interno del nostro sangue è costantemente presente un determinato tasso di glucosio indispensabile per mantenere in funzione il cervello, poiché a differenza di altri organi e dei muscoli non ha la capacità di immagazzinarne per avere una riserva di energia autonoma. La sua quantità è regolata da due ormoni antagonisti: l’insulina ed il glucagone.
La prima riduce il tasso glicemico nel sangue immagazzinandolo nel fegato, nei muscoli e nel tessuto adiposo trasformandolo in grassi, il secondo spinge il fegato ed i tessuti adiposi a rilasciare glucosio.
Questo delicato sistema mantiene in equilibrio costante la glicemia, ordinando al pancreas di rilasciare insulina dopo i pasti e di rilasciare glucagone nei momenti di digiuno.
Ogni alimento, in particolare quelli più ricchi in carboidrati, ha la capacità di innalzare la glicemia. Tale capacità è indicata da un valore che è definito indice glicemico. Per quantificare l’indice glicemico di un alimento è necessario assumerne l’equivalente di 50 g di carboidrati (ad esempio è necessario ingerire 250 g di patate bollite per ottenere tale quantità, poiché solo il 20% del peso dell’alimento è composto da carboidrati) e monitorare i livelli glicemici nelle due ore seguenti. Tali valori andranno poi confrontati con quelli dello standard di riferimento: il glucosio o il pane bianco che ha indice glicemico pari a 100. Se un alimento ha indice glicemico pari a 60 significa che la glicemia sale del 60% rispetto a quanto avviene con 50 g di glucosio puro.
In base alla velocità con cui si innalza la glicemia, vi sarà una risposta altrettanto rapida ed intensa nella produzione di insulina. Per questo motivo a parità di carboidrati ingeriti, gli alimenti con basso indice glicemico (la maggioranza di frutta e verdura, pasta, latticini) porteranno ad un più duraturo senso di sazietà: poiché il rilascio di insulina sarà lento e graduale, così come l’assimilazione dei carboidrati, ritardando il sopravvenire della fame. Al contrario alimenti con tasso glicemico alto (dolci, zuccheri, bibite gassate) provocheranno un picco di insulina che tenderà a ridurre drasticamente il livello di glucosio nel sangue, spingendo l’organismo ad assumere altri alimenti per innalzarlo nuovamente.
In generale quanto più un carboidrato sarà digeribile tanto maggiore sarà il suo indice glicemico, mente una quantità elevata di fibre corrisponde ad un IG più basso.
Quindi non tutti i carboidrati sono uguali: alcuni, quelli ad alto Indice Glicemico IG, vengono assorbiti velocemente e determinano un aumento rapido della glicemia, altri, a basso Indice Glicemico, rilasciano il glucosio più lentamente.
Ma esistono delle patologie che compromettono questo delicato equilibrio insulina-glucagone, come il diabete mellito. Quest’ultimo viene distinto in diabete di tipo 1 quando si manifesta come malattia autoimmune, di tipo 2 se emerge con l’avanzare dell’età come insufficienza di insulina.
Il diabete di tipo 1 si manifesta già in giovane età, spesso durante la pubertà, nel momento in cui il sistema immunitario riconosce le cellule β pancreatiche come pericolose e le distrugge compromettendo la capacità dell’organismo di produrre insulina. Essendo una malattia auto-immune, non esiste ad oggi una cura e l’unico modo per moderare i sintomi è utilizzare delle iniezioni di insulina, seguire una dieta con un moderato contenuto di carboidrati, ed uno stile di vita sano ed attivo.
La seconda tipologia di diabete consiste in un’insufficienza nella produzione di insulina o ad una bassa reattività delle cellule, ed è tendenzialmente correlata all’età, al sovrappeso, ad una dieta ed uno stile di vita errati, ed a fattori genetici ereditari. In questo caso sarà spesso sufficiente modificare la propria alimentazione e fare attività sportiva per risolvere il problema, con l’ausilio nei casi più gravi di farmaci per via orale.
È stato dimostrato che i fattori genetici di tipo ereditario hanno un ruolo preponderante nella predisposizione al diabete di tipo 2: la probabilità di svilupparlo nell’arco della propria vita è del 40% per soggetti che hanno almeno un genitore che soffre della patologia, del 70% se entrambi i genitori ne sono afflitti, mentre se un gemello omozigote ne soffre c’è il 90% di probabilità che anche il secondo lo sviluppi.
Essendo il diabete poligenetico, sono ancora soggetto di studio i geni coinvolti, e per ora ne sono stati identificati alcuni che sembrano esservi in stretta correlazione: studi statistici hanno mostrato come le mutazioni sui geni PPARG e TCF7L2 siano fra le più direttamente collegabili alla patologia, la prima addirittura aumentando la predisposizione al diabete del 20%, IRS-1 e IRS-2 influenzano la responsività delle cellule all’insulina, ed uno studio che ha coinvolto 2400 soggetti ha rilevato una stretta correlazione anche col gene WFS1. Il gene KCNJ11 è invece coinvolto nella regolazione della secrezione dell’insulina da parte delle cellule β pancreatiche, ed in alcune sue mutazioni può far emergere i sintomi diabetici già in età neonatale.
Esiste inoltre una specifica mutazione dei geni HNF1A, HNF1B e HNF4A in grado di spiegare da sola una particolare tipologia di diabete giovanile, conosciuto dome Mody. Se solitamente il diabete è dovuto ad una concomitanza di fattori multipli, in questo specifico caso è dovuto ad una ed un’unica mutazione genetica, poiché il gene coinvolto svolge un ruolo predominante nello sviluppo e nel funzionamento delle cellule β pancreatiche giungendo con modalità diverse ad avere gli stessi effetti del diabete di tipo 2.
Il diabete, come la celiachia, è una patologia che sta vedendo una sempre maggiore diffusione fra la popolazione. Secondo l’International Diabetes Federation, si stima che entro il 2030 il numero di soggetti diabetici aumenterà da 366 a 552 milioni.
Nel caso del diabete di tipo 1 non vi è purtroppo alcun metodo di prevenzione poiché già alla nascita il soggetto presenterà disfunzioni pancreatiche ed è gestibile unicamente tramite iniezioni di insulina. Il diabete di tipo 2 invece è prevenibile e controllabile tramite una dieta sana e povera di zuccheri, grassi, ed alimenti ad alto indice glicemico.
In particolare per i soggetti che presentano in famiglia casi di diabete (vista la sua elevata ereditarietà), è consigliabile consultare un nutrizionista per programmare una dieta adeguata da correlare ad un po’ di attività fisica, ed eventualmente effettuare un test del DNAper valutare la predisposizione individuale a sviluppare tale patologia.