EVOLUZIONE NUTRIGENETICA: COME LA CUCINA LOCALE MODIFICA IL GENOMA

EVOLUZIONE NUTRIGENETICA: COME LA CUCINA LOCALE MODIFICA IL GENOMA

I bisogni primari dell’uomo come dormire, riprodursi e nutrirsi, sono quelli strettamente legati alla sopravvivenza e accompagnano la nostra specie fin dalla preistoria spingendola ad adattarsi anche alle situazioni più difficili. Il nostro stesso corpo si è nei secoli abituato ad una determinata alimentazione, motivo per cui nella storia culinaria di ogni popolo si può ritrovare la sua evoluzione e la sua cultura.

Probabilmente i composti presenti negli alimenti hanno indotto una selezione naturale nell’assetto genetico degli individui della popolazione. Il processo evolutivo mediato dalle scelte alimentari può aver giocato un ruolo chiave nell’originare sia la diversità genetica sia quella culturale. Gli esseri umani, infatti, non condividono tutti gli stessi geni, né apprezzano gli stessi cibi. Ogni etnia parla, vede e prepara il cibo in maniera diversa, ed in questo modo la genetica umana interagisce con le diverse tradizioni culturali alimentari.

Questi sono i presupposti su cui si fonda il concetto di nutrizione evoluzionista o darwiniana, che identifica una rottura all’attuale dieta “industriale”. Ad oggi gli alimenti agroindustriali e lo stile di vita urbano sono talmente distanti da quelli dei nostri antenati, dal loro ambiente e dalle tradizioni alimentari, che hanno generato le così dette “malattie del benessere e dell’abbondanza alimentare”, come l’obesità ed il diabete.

Ma cerchiamo di comprendere come una mela mangiata da un uomo sapiens 30.000 anni fa possa aver influenzato la nostra abitudine a mangiarne (idealmente) una al giorno.

La storia alimentare del Messico fornisce un esempio efficace che mette in risalto l’effetto causato dall’interazione tra geni ancestrali, regime alimentare e più in generale cultura popolaremostrando come l’alimentazione potrebbe aver esercitato pressioni selettive su alcuni geni coinvolti nel loro metabolismo. Le varianti genetiche che permettevano la digestione di alcuni cibi particolarmente diffusi in una zona o utili per la sopravvivenza hanno portato ad una selezione naturale.

In particolare, nel caso del Messico, il bestiame e prodotti caseari erano assenti nella dieta pre-ispanica perché tali prodotti vennero introdotti solo dopo la scoperta delle Americhe. Qui sembra persistere un fenotipo dell’intolleranza genetica al lattosio che si ritrova nell’ 80% dei messicani adulti. Tuttavia, l’eterogeneità genetica, dopo l’arrivo degli spagnoli e l’introduzione degli animali e dei prodotti lattiero-caseari, ha permesso ad una certa parte della popolazione di digerire il latte in età adulta.

Al contrario la capacità di digerire il lattosio è comune fra gli abitanti dell’Europa settentrionale, dove si ritiene che le antiche popolazioni abbiano usato prodotti derivati dal latte come fonti di energia per sopravvivere agli inverni freddi e bui, mentre nell’Europa meridionale e in gran parte dell’Asia bere latte dopo l’infanzia dà spesso problemi gastrointestinali. Dato che il latte rappresentava per gli antenati delle popolazioni del nord una fonte energetica facilmente accessibile e priva di contaminazioni batteriche, il gene che permetteva la digestione del latte ha accresciuto il successo riproduttivo dei suoi portatori. Dal punto di vista genetico, nella popolazione europea, l’allele C13910T è stato associato alla persistenza della lattasi in età adulta e questo fenotipo si ritrova nel 90% della popolazione.

Il discorso dell’intolleranza al lattosio è solo un esempio ma può essere esteso ad altri gruppi alimentari e ai relativi geni: ad esempio la variante del gene MTHFR.
La dieta messicana pre-ispanica era ricca di una grande varietà di verdure che hanno fornito le vitamine e i minerali necessari per prevenire carenze nutrizionali. Molti cibi tipici come il mais, fagioli verdi, avocado, sono fonti naturali di folati. Questa grande disponibilità non ha reso necessaria una selezione naturale sulla variante sfavorevole del gene MTHFR che determina la produzione di un enzima con attività ridotta, ovvero limita la capacità dell’organismo di produrre acido folico. Ciò significa che chi porta la variante “messicana” del suddetto gene potrebbe soffrire di una carenza di acido folico e quindi soffrire maggiormente di malattie cardiovascolari e problemi in gravidanza, e dovrebbe quindi seguire una dieta particolarmente ricca di questo elemento nutritivo.

Nel paleolitico erano invece di fondamentale importanza per ogni popolazione i carboidrati: dal sapore dolce e ricchi di energia, erano una fonte di sostentamento ideale per gli esseri umani. Queste caratteristiche dei carboidrati erano ben conosciute dalle popolazioni ancestrali ma, nell’ambiente in cui vivevano queste popolazioni di cacciatori-raccoglitori, i carboidrati erano scarsi, perciò era importante trovarli e sfruttarne al meglio l’apporto calorico.

In seguito la coltivazione massiva di grano e cereali ha portato a una dieta ricca di carboidrati complessi, rendendo di fondamentale importanza per la popolazione la degradazione di carboidrati complessi da parte dell’amilasi che avviene nel tratto digerente. L’amilasi salivare rappresenta un fenomeno metabolico relativamente recente: alcuni studi hanno dimostrato che il gene AMY1 è correlato con il livello di espressione della proteina amilasi nella saliva, adibita alla digestione dei carboidrati. Inoltre l’efficienza di AMY1 è maggiore negli individui che appartengono a popolazioni che seguono diete ricche di carboidrati (europei-americani e giapponesi) e minore negli individui di popolazioni che seguono diete relativamente povere di carboidrati complessi. 

Parlando in un’ottica evoluzionistica darwiniana si può dire che la selezione naturale può aver influenzato l’espressione del gene AMY1 nelle popolazioni umane con diete con un contenuto tradizionalmente elevato di amido. Tale aumento può aver migliorato l’efficienza con cui questi alimenti sono digeriti nel tratto gastrointestinale. 

Tutte queste considerazioni indicano che c’è stata una forte pressione selettiva che ha agito, seppur in momenti diversi, sulle varie popolazioni e ha portato alla selezione naturale dei geni che meglio si adattavano allo stile di vita ed alla disponibilità alimentare in una data regione. 

Questi esempi dimostrano che l’attuale tendenza di seguire diete globalizzate (occidentalizzate) non va bene per tutti e la crescente obesità potrebbe essere dovuta anche all’abbandono del cibo tradizionale in favore di nuovi stili alimentari non personalizzati e non adatti all’eredità biologica e culturale dei singoli

La conoscenza dell’evoluzione culturale, genetica e alimentare e soprattutto la conoscenza dell’evoluzione del rapporto geni-nutrienti potrebbe rappresentare un valido metodo per impostare una dieta nutrigenetica che tenga conto della storia e della cultura dei diversi popoli. In particolare per ogni comunità potrebbe essere utile mettere a punto un’alimentazione che tenga conto della storia evolutiva del proprio popolo e che si basi su prodotti locali freschi, come frutta e verdura di stagione, cereali e semi oleosi che contengono nutrienti a basso contenuto calorico e molti ingredienti funzionali.

In questo modo si potrebbero fornire indicazioni riguardo a stili di vita sostenibili per l’ambiente e sani per l’organismo, che tengano conto del cibo, della cultura e della genetica di ogni società, adottando un’alimentazione corretta e “biologica” nel senso più vero e profondo del termine.



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