ALLERGIE ALIMENTARI E SICUREZZA DEL CONSUMATORE: ECCO COSA DICE IL MINISTERO DELLA SALUTE

ALLERGIE ALIMENTARI E SICUREZZA DEL CONSUMATORE: ECCO COSA DICE IL MINISTERO DELLA SALUTE

Secondo i dati Istat del 2016, il 10,7% degli italiani soffre di allergia, rendendo le malattie allergiche le più diffuse in assoluto fra quelle croniche. Dopotutto esistono talmente tante tipologie di allergie, da quelle alimentari, ai pollini, alle punture di insetti, ad acari e polvere, ed il ventaglio di sintomi è talmente ampio e variegato, che spesso è difficile creare un quadro clinico completo.

Chissà quanti italiani non ritengono che i loro lievi disturbi digestivi siano dovuti ad un’allergia o ad un’intolleranza alimentare, o che quella leggera rinite fosse dovuta alla presenza di un particolare polline.

Basti pensare al caso dell’intolleranza al glutine, che ha di per sé una diffusione molto inferiore a molte allergie: si stima che per ogni celiaco diagnosticato ve ne siano due ignari. È plausibile ed anzi, altamente probabile, che una situazione simile si presenti anche per le allergie.

Ma la diagnosi spesso è complessa, non è semplice identificare l’allergene o determinare per quali quantità si scateni la reazione o quali siano i sintomi direttamente connessi.

Per questo motivo il Ministero della Salute ha pubblicato delle linee guida per tutelare il cittadino ed uniformare la pratica clinica indicando quali sono i test di utilizzo clinico e quali invece sono esami privi di validità scientifica.

Tra i test diagnostici per allergie alimentari che vengono utilizzati dal medico Allergologo vi sono lo Skin Prick Test (SPT) e il Prick by Prick test che sono tra i più scientificamente solidi per stabilire allergie IgE-mediate. Per quelle non IgE-mediate l’Atopy Patch test (APT) è stato, dopo un iniziale entusiasmo, molto ridimensionato per la sua difficile standardizzazione. Resta come “gold standard” per la diagnosi di allergie alimentari il Test di Provocazione Orale (TPO), test in doppio cieco contro placebo (DBPCFC), che deve essere svolto sotto attenta supervisione medica. Altri test che possono essere utili in certe condizioni diagnostiche sono i test di secondo livello come RAST, SPT o il Component-Resolved Diagnostic (CRD) che misurano la presenza nel sangue di anticorpi allergene-specifici. Tali test tuttavia possono dare indicazioni sulla sensibilizzazione del paziente non riuscendo però a stabilire se effettivamente il soggetto sia allergico o solo sensibilizzato. In alcuni casi specifici possono essere utili test come il Test di attivazione dei basofili (BAT) o il dosaggio della triptasi ematica.

A fronte di questi test che hanno una certa complessità e richiedono anche una attenta supervisione medica, come il TPO, vi sono sul mercato un grande numero di test privi di validità scientifica che vengono invece utilizzati come test diagnostici per l’intolleranza individuale a certi alimenti. Vediamo un po’ assieme quali sono questi test partendo da quelli più opinabili in quanto privi di basi scientifiche:

  • Il test citotossico (o test di Bryant) : questo test prevede di diagnosticare l’intolleranza a certi alimenti o allergeni mediante l’aggiunta dello specifico allergene al sangue intero o a sospensioni di globuli bianchi e misurando poi la loro rottura o citolisi. Maggiore è il numero dei globuli bianchi distrutti dall’aggiunta di allergeni maggiore è l’intolleranza. Questo metodo prende origine da studi fatti negli anni ’50 ma sono stati confutati da numerosissimi studi scientifici successivi. Attualmente quindi è un test privo di qualsiasi validità scientifica.
  • La kinesiologia applicata: l’esame consiste nel chiedere al soggetto di sorreggere una fialetta contenente l’allergene e nel mentre fare forza con una mano contro l’esaminatore o tenere serrato pollice e indice. La teoria vorrebbe che l’elemento presente nella fialetta indebolisca il soggetto se quest’ultimo ne è allergico, e che quindi la forza che il paziente è in grado di applicare sia minore. Ma non ci sono prove scientifiche di alcun tipo che esista una correlazione fra la forza fisica del paziente e la sua sensibilità ad alcuni alimenti.
  • Il test del riflesso cardio-auricolare: durante questo test il presunto allergene non entra mai in diretto contatto con il paziente, ma viene tenuto a distanza di 1 cm dalla sua cute. Nel mentre l’esaminatore misura il battito cardiaco del soggetto monitorandone il polso radiale, cercando di rilevarne variazioni, che siano accelerazioni o rallentamenti. Secondo questo test le pulsazioni dovrebbero cambiare in presenza di una sensibilità o allergia all’elemento posto vicino alla cute. Esiste anche la versione in cui l’allergene viene somministrato al paziente, chiamato Pulse Test. In questo caso il paziente entra in contatto con l’allergene, ma non è mai stato dimostrato esserci una correlazione fra la reazione allergica ed il battito cardiaco e le rilevazioni non sono standardizzate.
  • L’analisi del capello (Hair analysis): esistono due test che utilizzano il capello in ambito allergologico. Il primo vi rileva la presenza di metalli pesanti, che però non sono mai stati correlati all’insorgenza di reazioni allergiche. Il secondo utilizza l’ausilio di un pendolo e ne osserva le variazioni di frequenza. Entrambi quindi sono privi di validità scientifica e non hanno alcuna validità nella diagnosi delle allergie.
  • Il test elettrotermico (elettroagopuntura secondo Voll, Vagat est, Sarm test, Biostrenght e diverse sue variazioni): questi test utilizzano un’apparecchiatura elettronica che all’apparenza potrebbe anche sembrare complessa e quindi all’avanguardia ed affidabile, e quindi rischia spesso di fuorviare il paziente. L’esame viene sempre fatto con allergeni contenuti in provette e si basa sull’idea che la vicinanza con l’elemento possa modificare il potenziale elettrico cellulare. Il macchinario emette quindi degli impulsi elettrici a basso voltaggio e misura le resistenze elettriche della pelle. Le variazioni di potenziale elettrico cellulare in presenza di allergeni non sono mai state dimostrate ed anche vi fossero realmente non si presenterebbero mai in assenza di un contatto con l’allergene.
  • Biorisonanza: utilizza un apparecchio che dovrebbe “ripulire” le onde elettromagnetiche emesse dal nostro corpo discriminando quelle sane da quelle malate. Il macchinario eliminerebbe così la fonte del disturbo ovvero le allergie, permettendo al corpo di disintossicarsi e rinvigorirsi.

Oltre a questi test che si basano su metodiche molto particolari e spesso fantasiose, ve ne sono altre che apparentemente si basano su tecniche di laboratorio più comuni ma che però non hanno dimostrato basi metodologiche solide ed efficacia diagnostica, e non sono quindi entrate nella pratica clinica istituzionale.

Fra queste vi sono:

  • test di provocazione e neutralizzazione sublinguale e intradermico: durante l’esecuzione del test si somministra l’allergene per via intradermica (ad es. tramite un sottile ago) e si osserva il paziente alla ricerca di qualunque sintomatologia. Il test sembrerebbe molto simile da quello di provocazione istituzionale e comunemente utilizzato, ma differisce per tipologia di allergeni testati, mancata discriminazione dei sintomi e mancanza di standardizzazione. Il problema non appartiene quindi alla poca credibilità del test, ma alle metodiche con cui viene effettuato.
  • Ricerca delle IgG sieriche specifiche per l’alimento: anche in questo caso il test non è riconosciuto per problemi metodologici e perché le teorie su cui si basa non sono ancora state dimostrate scientificamente, in quanto il ruolo delle Immunoglobine di classe G (IgG) nelle allergie alimentari non è ancora stato né confermato né escluso. Non hanno pertanto alcun valore diagnostico.
  • Il test per la misurazione del BAFF (Fattore attivante i linfociti B) e del PAF (Fattore attivante le piastrine): questo esame rileva la presenza di citochine infiammatorie BAFF e PAF che vengono prodotte in presenza di reazione infiammatoria ad alcuni alimenti. Questo test sarebbe quindi utile per diagnosticare le reazioni non IgE mediate, ovvero nel caso di intolleranze o sensibilità alimentari. I meccanismi immunologici sottostanti sono certamente esistenti ed interessanti, ma ancora gli studi in merito sono agli inizi ed in fase di analisi il loro rapporto con le intolleranze alimentari.

Le allergie sono terribilmente diffuse ma ancora poco comprese. Per questo motivo chi ne soffre potrebbe essere propenso a “provarle tutte” per poter stare meglio. Ma effettuare test allergologici o di intolleranza senza alcuna validità scientifica è solo il modo migliore per sprecare soldi e peggiorare ulteriormente la situazione. Un’errata diagnosi potrebbe portare il paziente ad eliminare alimenti a cui non è allergico e continuare ad assumerne altri che invece potrebbero essere la reale causa della reazione allergica, adottando spesso una dieta poco equilibrata e che sul lungo termine potrebbe portare a problematiche gravi.

Un ulteriore difficoltà a cui va incontro chi vuole effettuare il test è la disponibilità. Una stima americana indica che il 30% dei bambini mostrano sintomi interpretati dai loro genitori come reazioni allergiche. Una richiesta così elevata è ovviamente difficile da soddisfare senza le infrastrutture adeguate. Di conseguenza a fronte di tempi d’attesa molto lunghi, i genitori potrebbero decidere di effettuare alcuni di questi “test alternativi” nella speranza siano d’aiuto. Ma diagnosi erronee possono appunto portare a numerosi problemi, fra cui:

• Diete di eliminazioni in bambini che non sono allergici

• Diete inadeguate dal punto di vista nutrizionale

• Diete con costo elevato per le famiglie

• Ansia e iperprotezione della famiglia che determina stress nel bambino

• Alterazione delle dinamiche relazionali familiari

• Isolamento sociale della famiglia

• Disappunto per la mancata efficacia della dieta

• Angoscia e frustrazione in caso di reazione

• Scarsa compliance e conseguente ritardata guarigione

Per questi motivi il Ministero della Salute ha ritenuto necessario includere nella pubblicazione di “Allergie alimentari e sicurezza del consumatore” una sezione sui test non ufficialmente riconosciuti e dalla validità opinabile. Per evitare che questo fenomeno così diffuso provochi danni ulteriori a quelli economici.



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